Anche
se di sapore mitologico e molto simile ai dioscuri già
incontrati negli anni Trenta, il titolo dell'opera e la
rete da pesca che portano in mano i due protagonisti del
dipinto ci suggeriscono l'ispirazione biblica, tratta
dal Libro di Tobia.
"Questo
racconto biblico, tra i più antichi, narra com’è
noto, le vicende del giovane figlio di Tobia e del suo
Angelo custode, Raffaele in persona. Siamo a Ninive al
tempo di Salmanassar (726-722) e di Sorgaan II (721-705)
e Tobia è un deportato ebreo molto pio che vive in
questa città con la moglie Anna e appunto con il figlio
Tobiolo.
Giunto in età avanzata, Tobia è vittima di uno
strano incidente: mentre riposa all’aperto gli
escrementi di un passero gli cadono negli occhi
causandogli un’infezione che lo rende cieco.
Sentendosi vicino alla morte, incarica il figlio di
recarsi nella regione della Media per riscuotere del
denaro che gli era dovuto. La storia racconta che, a
questo punto, senza svelare la propria identità,
l’Arcangelo Raffaele si presenta alla porta di Tobia
offrendosi di accompagnare Tobiolo nel suo viaggio.
(...)
Durante una sosta sulle rive del Tigri, Tobiolo decide
di bagnarsi, ma improvvisamente un pesce enorme sbuca
fuori dall’acqua e minaccia di divorarlo. Raffaele
incita Tobiolo a non avere paura, ma anzi lo aiuta, con
i suoi consigli, a pescarlo e gli raccomanda di
conservarne il cuore, il fiele e il fegato. Giunti a
destinazione, Tobiolo ritira il denaro e Raffaele
suggerisce di fare una sosta presso la casa di un
parente del ragazzo, la cui figlia, Sara, avrebbe potuto
essere una sposa ideale per lui. Arrivati a casa di
Sara, anch’essa ebrea figlia di esuli, Tobiolo viene a
sapere che questa è posseduta dal demone Asmodeo, che
ha già divorato i suoi precedenti sette mariti durante
la prima notte di nozze. Consigliato dal suo compagno,
Tobiolo, malgrado la grande paura, sposa ugualmente Sara
e, seguendo le indicazioni di Raffaele, una volta solo
con la sposa nella stanza nuziale, brucia in un
incensiere il cuore e il fegato del pesce pescato
durante il viaggio creando un fetore talmente
insopportabile che Asmodeo è costretto a fuggire nelle
regioni dell’Alto Egitto, dove viene incatenato mani e
piedi dall’Angelo Raffaele stesso.
Messisi
in cammino con Sara, i viaggiatori raggiungono la casa
di Tobia dove Raffaele ordina a Tobiolo di spalmare il
fiele del pesce sugli occhi del padre e in tal modo ne
rende possibile il riacquisto della vista. Davanti a
tanti strani fatti Tobia chiede a Raffaele di svelarsi e
gli domanda come avrebbe potuto ricompensarlo. A ciò
egli risponde: “Sono Raffaele, uno dei sette Angeli
che sono sempre pronti a entrare alla presenza della
maestà del Signore. Ora benedite il Signore sulla terra
e rendete grazie a Dio. Io ritorno a Colui che mi ha
mandato.” (Tobia 12,15)."
Mariagraziella
Belloli, Raffaele, l'angelo custode,
Silvana, 2000
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